Beato Angelico, Inferno (particolare)

Inferno vs misericordia?

oltre facili equivoci

Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e 'l primo amore.

Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate.

l'inferno nel Magistero della Chiesa

nel “Catechismo Romano” (Concilio di Trento)

94. Condanna degli empi

Rivolto poi a quelli che staranno alla sua sinistra, fulminerà contro di essi la sua giustizia con queste parole: Via da me, maledetti, al fuoco eterno, preparato per il diavolo ed i suoi angeli (Mt 25,41). Con le prime, "Via da me", viene espressa la maggiore delle pene che colpirà gli empi, con l'essere cacciati il più possibile lungi dal cospetto di Dio, né li potrà consolare la speranza che un giorno potranno fruire di tanto bene. Questa è dai teologi chiamata pena del danno; per la quale gli empi saranno privati per sempre, nell'inferno, della luce della visione divina. L'altra parola: "maledetti ", aumenterà sensibilmente la loro miseria e calamità. Se mentre sono cacciati dalla presenza di Dio fossero stimati degni almeno di qualche benedizione, questo tornerebbe a grande loro sollievo; ma poiché nulla di simile potranno aspettarsi, che allievi la loro disgrazia, la divina giustizia, cacciandoli giustamente, li colpisce con ogni sua maledizione.

Seguono poi le parole: "al fuoco eterno"; è il secondo genere di pena che i teologi chiamano pena del senso, perché si percepisce con i sensi del corpo, come avviene dei flagelli, delle battiture o di altro più grave supplizio, tra i quali non è a dubitare che il tormento del fuoco provochi il più acuto dolore sensibile. Aggiungendo a tanto male la durata perpetua, se ne deduce che la pena dei dannati rappresenta il colmo di tutti i supplizi. Ciò è meglio spiegato dalle parole che terminano la sentenza: "preparato per il diavolo e per i suoi angeli". Siccome la nostra natura è tale che noi più facilmente sopportiamo le nostre molestie, se abbiamo come socio delle nostre disgrazie qualcuno, la cui prudenza e gentilezza ci possano in qualche modo giovare, quale non sarà la miseria dei dannati, cui non sarà mai concesso, in tanti tormenti, separarsi dalla compagnia dei perdutissimi demoni. Tale sentenza giustamente il Signore e Salvatore nostro emanerà contro gli empi, perché questi hanno trascurato tutte le opere di vera pietà: non hanno offerto cibo all'affamato e bevanda all'assetato; non hanno alloggiato l'ospite, vestito l'ignudo, visitato l'infermo e il carcerato.

nel Catechismo “minore” di S.Pio X (1906)

16. I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale, che cosa meritano?
I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale, meritano l'inferno.

17. Che cos'è l'inferno?
L'inferno è il patimento eterno della privazione di Dio, nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male senza alcun bene.

18. Perché Dio premia i buoni e castiga i cattivi?
Dio premia i buoni e castiga i cattivi, perché è la giustizia infinita.

nel “Catechismo della Chiesa cattolica” del 1992

IV. L'inferno

«1033 Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: "Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna" ( 1Gv 3,15 ). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli [Cf Mt 25,31-46 ]. Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola "inferno".

1034 Gesù parla ripetutamente della "Geenna", del "fuoco inestinguibile", [Cf Mt 5,22; Mt 5,29; 1034 Mt 13,42; Mt 13,50; Mc 9,43-48 ] che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l'anima che il corpo [Cf Mt 10,28 ]. Gesù annunzia con parole severe che egli "manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno. . . tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente" ( Mt 13,41-42 ), e che pronunzierà la condanna: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!" ( Mt 25,41 ).

1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, "il fuoco eterno" [Cf Simbolo "Quicumque": Denz. -Schnöm., 76; Sinodo di Costantinopoli: ibid., 409. 411; 274]. La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.

1036 Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l'inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l'uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: "Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla Vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!" ( Mt 7,13-14 ).
Siccome non conosciamo né il giorno né l'ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l'unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove "ci sarà pianto e stridore di denti" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48].

1037 Dio non predestina nessuno ad andare all'inferno; [ Cf Concilio di Orange II: Denz. -Schönm. , 397; Concilio di Trento: ibid. , 1567] questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole "che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi" ( 2Pt 3,9 ):

“Accetta con benevolenza, o Signore, l'offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti” [Messale Romano, Canone Romano].»

l'Inferno in apparizioni mariane e in rivelazioni private

L'Inferno nei messaggi di Fatima

«La Madonna ci mostrò un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto terra. Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma umana che fluttuavano nell'incendio, portate dalle fiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti simili al cadere delle scintille nei grandi incendi, senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e disperazione che mettevano orrore e facevano tremare dalla paura. I demoni si riconoscevano dalle forme orribili e ributtanti di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti e neri. Questa visione durò un momento. E grazie alla nostra buona Madre del Cielo, che prima ci aveva prevenuti con la promessa di portarci in Cielo (nella prima apparizione), altrimenti credo che saremmo morti di spavento e di terrore.»

l'Inferno nel racconto dei veggenti di Medjugorje

La Chiesa non ha ancora emesso un verdetto definitivo su Medjugorje, perché si tratta di un fenomeno non ancora concluso. Ma si tratta di qualcosa che vale la pena prendere comunque sul serio.

Ecco il racconto fatto da una veggente, a cui la Madre di Dio avrebbe fatto “visitare” i regni del'al-di-là, tra cui, appunto, l'Inferno:

«la Gospa [cioè la Signora, ossia la Madre di Dio] ci ha mostrato l’inferno. E’ un posto terribile. Nel mezzo c’è un gran fuoco, ma non come quello che conosciamo sulla terra. Abbiamo visto gente assolutamente normale, come quelli che si incontrano per la strada, che si gettavano da soli in quel fuoco. Quando ne uscivano assomigliavano a belve feroci che gridavano il loro odio e la loro ribellione e bestemmiavano… Era difficile credere che fossero esseri umani, tanto erano sfigurati, cambiati… Davanti a questo spettacolo eravamo spaventati e non capivamo come una cosa così orribile potesse succedere a quella gente. Fortunatamente la presenza della Gospa ci rassicurava. Abbiamo anche visto una ragazza molto bella gettarsi nel fuoco: dopo sembrava un mostro.

La Gospa allora ci ha spiegato quello che avevamo visto e ci ha detto: - Quella gente è andata all’inferno di sua volontà. E’ una loro scelta, una loro decisione. Non abbiate paura! Dio ha donato a ciascuno la libertà. Sulla terra ognuno può decidersi per Dio o contro Dio. Certe persone sulla terra fanno sempre tutto contro Dio, contro la Sua volontà, pienamente consapevoli: cominciano così l’inferno nel loro cuore; quando viene il momento della morte, se non si pentono, è lo stesso inferno che continua.

– “Gospa – le abbiamo allora chiesto – queste persone, un giorno, potranno uscire dall’inferno?” – “L’inferno non finirà, coloro che sono là non vogliono ricevere più niente da Dio, hanno scelto liberamente di essere lontani da Dio, per sempre! Dio non vuole forzare nessuna ad amarlo”.

Allora chiedo a Vicka: - “Se Dio ha il cuore buono, non gli importa lasciare che i suoi figli si perdano così, per sempre? Perché non mette una barriera davanti all’inferno, per esempio, o perché non prende nelle sue braccia tutti quelli che si apprestano a gettarsi nel fuoco per convincerli ad andare con lui invece che con Satana?” - “Ma Dio fa di tutto per salvarci! Tutto! Gesù è morto per ognuno di noi e il suo amore è grande per tutti. Ci invita sempre ad avvicinarci al suo cuore ma cosa può fare quando non si vuole accettare il suo amore? Niente! L’amore non si può imporre!”

Alla fine la Gospa affida loro una missione: Vi ho mostrato tutto questo, perché sappiate che esiste e lo diciate agli altri.

L'inferno nel racconto di suor Faustina Kowalska

Suor Faustina è una delle più grandi mistiche del XX secolo. Fu molto stimata da Giovanni Paolo II, che su richiesta di lei consacrò la domenica dopo Pasqua alla Divina Misericordia. Ecco il resoconto, da lei stessa redatto, di una sua esperienza mistica relativa all'Inferno:

«Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'inferno. E un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho viste:

  1. la prima pena, quella che costituisce l'inferno, è la perdita di Dio;
  2. la seconda, i continui rimorsi di coscienza;
  3. la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai;
  4. la quarta pena è il fuoco che penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale acceso dall'ira di Dio;
  5. la quinta pena è l'oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio;
  6. la sesta pena è la compagnia continua di Satana;
  7. la settima pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie.

Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti. Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e indescrivibile. Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall'altro. Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l'onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità.

Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno c’è mai stato e nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. Ora non posso parlare di questo. Ho l'ordine da Dio di lasciarlo per iscritto. I demoni hanno dimostrato un grande odio contro di me, ma per ordine di Dio hanno dovuto ubbidirmi. Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto.»

Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno.»

Perché Dio vuole che si sappia dell’inferno

Nei racconti dei veggenti di Fatima e di Medjugorje e in quello di suor Faustina si dice che è stato Dio stesso a chiedere loro espressamente di parlare dell'Inferno. Chiediamoci quindi il senso di questa richiesta.

In effetti il timore dell'inferno è giusto che ci sia, ed è un tema tipico anche di molta tradizione ben precedente al Concilio di Trento: ad esempio in San Benedetto, si parla di gehennam expavescere. Avere il terrore dell'inferno è giusto, il punto è che non deve essere la motivazione principale per aderire al Cristianesimo, la motivazione principale per, mettiamola così, fare il bene o evitare il male.

Ma allora perché in rivelazioni come le apparizioni mariane di Fatima, che sono sicuramente vere, o anche quelle di Medjugorje, che sono quasi certamente vere, anche se siamo in attesa della loro conclusione e di una definitiva approvazione da parte ecclesiastica, si parla dell'inferno? E anche una mistica come Suor Faustina Kowalska, che pure ha avuto da Dio la missione di ricordare la misericordia di Dio, anche lei parla di una sua visione dell'inferno e dice di avere avuto da Dio l'incarico di parlare dell'inferno. Così anche Suor Lucia, con i segreti di Fatima, come anche i veggenti di Medjugorje, concordano nel dire che Dio stesso ha detto di parlare a tutti di quello che hanno visto in questa visione mistica, sopranaturale, della realtà dell'inferno.

Perché questa richiesta, se l'inferno non è la motivazione principale? Innanzitutto perché dire che una cosa non è la motivazione principale non equivale a dire che quella cosa non esiste o non ha una sua importanza. La sua importanza è subordinata, ma c’è.

In secondo luogo una spiegazione potrebbe essere che l'umanità di oggi, come un po' ha sempre fatto l'essere umano, ma più che in altre epoche, tende a negare di avere bisogno. Tende a negare il grido della propria umanità, il riconoscimento della propria miseria che grida aiuto. L'umanità moderna tende ad essere arroccata in un atteggiamento di superbia, di presuntuosa autosufficienza. Come se dicesse “io non ho bisogno, io non sono misero, io sono forte, io mi libero da qualunque vincolo nei confronti dell'alterità, nei confronti dell'altro, con la A maiuscola, cioè di Dio, e faccio da me”.

Allora riscoprire la realtà dell'inferno aiuta a smascherare questa menzogna di una autosufficienza umana, questa tendenza che è in noi a negare di avere bisogno, a pensare che “me la cavo con le mie forze, ho tutto quanto mi occorre per realizzarmi senza bisogno di Dio”. In realtà noi, senza Dio, riconosciuto esplicitamente o anche implicitamente, ma senza Dio, nella misura in cui noi pretendiamo di fare meno di Dio e di cavarcela con le nostre forze, siamo miseri. Quindi l'inferno è l'evidenza estrema di com'è la condizione umana che nega di avere bisogno di Dio, che nega di essere ontologicamente dipendente da Dio.

Questo nulla toglie al fatto che l'inferno sia anche qualcosa che avverrà in futuro; ma intanto l'inferno comincia già adesso, nella misura in cui noi pretendiamo una superba, luciferina autonomia. Viviamo come un anticipo, una caparra della condizione infernale. Il che è tanto più urgente oggi, in quanto, mentre in altre epoche la pretesa autosufficienza era semplicemente vissuta, nella modernità orgogliosamente antropocentrica essa è espressamente teorizzata; e quindi è particolarmente necessario che venga frontalmente contraddetta. Questo può spiegare la presenza del tema dell'Inferno nei messaggi mariani di Fatima, di Medjugorje, ma anche nelle rivelazioni private di diversi mistici, come sua fratina Kowalska, come qualcosa che Dio stesso chiede di comunicare agli altri esseri umani.

Inferno e cattolicesimi ideologici

due “opposti estremismi”

Sulla questione dell'inferno ci sono due posizioni, diametralmente opposte ed ugualmente scorrette, da parte di quelli che sono i due estremi contrapposti del cattolicesimo attuale, ossia quelli che potremmo chiamare un cattolicesimo ideologico di destra e un cattolicesimo ideologico di sinistra. Per il cattolicesimo ideologico di sinistra l'inferno è qualcosa da minimizzare, se non addirittura da negare. Questo tipo di atteggiamento tende appunto a negare l'esistenza dell'inferno interpretando in modo un po' scorretto, per esempio, le tesi di von Balthasar o addirittura abbracciando tesi di altri teologi che proprio negano la realtà dell'inferno.

All'estremo opposto abbiamo il cattolicesimo ideologico di destra, l'ultraconservatorismo cattolico per il quale invece l'inferno è brandito come una minaccia sempre incombente e per il quale è fondamentale per la vita etica di un cristiano considerare la realtà dell'inferno. Addirittura è come se la motivazione principale per aderire al cristianesimo fosse quella di evitare le pene dell'inferno. Perché? Perché mentre il cattolicesimo ideologico di sinistra si trova bene nella situazione del mondo attuale, mondo che tende appunto a indulgere su quelli che la morale tradizionale cristiana considera come dei peccati o dei vizi, viceversa il cattolicesimo ultraconservatore vede nel mondo moderno qualcosa di satanico, qualcosa da respingere in blocco per tornare ai bei tempi in cui le salde mura di una cristianità egemone nella società assicuravano un quadro valoriale assolutamente rassicurante per il fatto di essere pressoché universalmente condiviso. E quindi rimpiange i bei tempi prima del Concilio, di quando tutti o quasi tutti erano cristiani, quando si sapeva cos'erano il bene e il male, quando più o meno tutti osservavano o fingevano di osservare la morale cristiana.

Ora, quello che queste due posizioni hanno in comune è il fatto di ritenere che l'etica, ma possiamo dire anche la vita, sia essenzialmente un rapporto alla legge. Il problema della vita è prendere posizione davanti alla legge. Mentre il cattolicesimo di sinistra tende a dire che è inutile che noi ci poniamo delle mete rigorose, una legge universale, dobbiamo accettare la realtà così come viene e non porci in termini polemici con quella che è la debolezza e la fragilità umana, al contrario, il cattolicesimo ultraconservatore dice “no, dobbiamo assolutamente riuscire a osservare la legge, è fondamentale osservare la legge”.

Ma entrambe queste posizioni dimenticano quello che invece era fondamentale nel cristianesimo degli inizi e che i movimenti ecclesiali hanno potentemente contribuito a riscoprire, ossia che il problema della vita non è il rapporto con la legge, nei confronti della quale si possa essere ultra indulgenti o ultra rigorosi, ma il problema della vita è il rapporto con una persona, la persona di Cristo, il tu di Cristo, un tu che si caratterizza come misericordia rigeneratrice, cioè non è uno che dice “puoi anche fare tutto quello che vuoi”, ma non è neanche uno che dice “prima devi osservare la legge e poi ti premierò”, come è nello schema moralistico tipico anche del cattolicesimo ultraconservatore che si rifà alla variante tridentina del cristianesimo che fletteva pericolosamente in senso moralistico.

Il punto è il rapporto con Cristo che risponde al mio bisogno umano, alla mia umanità, per cui è mio interesse ora aderire a Cristo, non è che io devo aderire alla legge in vista di un premio che avverrà dopo la morte, devo aderire a Cristo che mi fa del bene adesso, in questa vita, che mi dà il centuplo in questa vita.

In questo senso la questione dell'inferno non è una questione che debba essere negata, la realtà dell'inferno c'è ed è giusto che uno la tenga presente, ma nettamente in subordine rispetto al centuplo quaggiù, rispetto al fatto che è possibile sperimentare in questa vita che Cristo realizza la mia umanità, a differenza di quello che può fare qualunque altra proposta.

ricapitolando

un dato convergente

Sia l'insegnamento del Magistero, sia le apparizioni e rivelazioni di cui abbiamo sopra parlato concordano su alcuni punti essenziali:

problemi

la decisività delle “opere”

Se il punto fondamentale non è la quantità delle opere buone o cattive fatte in vita, ossia se il punto non è aver superato la soglia massima consentita di opere cattive o non aver raggiunto la soglia minima richiesta di opere buone, perché allora certi brani evangelici sembrano dire il contrario? Come quando Gesù disse

«Non chi dice Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio, entrerà nel Regno dei Cieli»

Ma questa frase e altre simili (come quelle ricordate nel Catechismo della Chiesa cattolica) possono benissimo essere intese senza che implichino una quantificabilità, una misurabilità matematica del bene da fare e del male da evitare. Nel senso che non è detto che abbia senso parlare di una soglia minima di opere buone (poniamo 28.946 opere buone) e una soglia massima di opere cattive (mettiamo 15.872), così che uno possa calcolare se, allo stato attuale, meriti l'inferno o il paradiso. E quindi, ad esempio, possa permettersi ancora di fare qualche opera cattiva, o di non fare qualche opera buona.

Anche perché ragionare così, vorrebbe dire pensare a inferno e paradiso come premi estrinseci alla propria umanità. Dimenticando che il bene fa bene già ora, e quindi conviene, già da adesso, perché mi realizza, attua la mia vera umanità, attua la verità di me stesso; e dimenticando che il male fa male, già da ora, e quindi conviene, già adesso, non farlo. Perché mi rovina, non realizza la mia più profonda natura.

Gli ammonimenti di Cristo non vanno insomma intesi in senso moralistico, quanto piuttosto in senso anti-farisaico: i farisei, quella parte di autorità religiose ebraiche a Lui contemporanee, si accontentavano di fare dei discorsi (che si pretendevano) corretti, ma poi, ad esempio, vivevano un profondo disprezzo per gli altri che non erano come loro (“grazie perché non sono come questo pubblicano”). Dicevano, e tutti rischiamo di fare così, “Signore, Signore”, pretendendo di possedere il Mistero, di cui poi invece disprezzavano l'invito fondamentale, ossia l'amore del prossimo, ossia il cammino verso quella sempre più profonda e vera comunione, che è anticipo del nostro destino finale, la partecipazione alla vita trinitaria.

l'eternità della pena

Vediamo un altro punto, ben più problematico. A fare problema nell'idea tradizionale di Inferno non è tanto che uno debba in qualche modo “scontare”, soffrendo, il male che ha fatto, quanto l'eternità della pena: «lasciate ogne speranza».

La nostra mente infatti può concepire la logica per cui se uno ha distorto la sua azione, nuocendo agli altri, deve lasciarsi “raddrizzare”, come deve fare uno che abbia camminato sempre storto; e questo non può non comportare una sofferenza. È così che si spiega il Purgatorio, che è sofferenza purificatrice. Ma è sofferenza temporanea. L'inferno invece è sofferenza eterna.

La Chiesa ha per lo più insegnato che la pena dell'Inferno è eterna. È davvero così? Von Balthasar, uno dei maggiori teologi del XX secolo, pensava che l'inferno potrebbe essere vuoto, pur restando come possibilità (“potrei essere io il primo ad andarci”). Il problema nasce dal fatto che il Mistero è buono e dunque non vuole la nostra sofferenza, ma la può, al massimo, permettere. In vista di un bene maggiore. Ma quale sarebbe il bene maggiore per uno che soffre eternamente? Inoltre, può una colpa finita, come lo sono le colpe che un essere umano può commettere, meritare un castigo infinito, come lo sarebbe una sofferenza eterna? Sono domande che una intelligenza credente oggi più che mai si pone.

Non sarebbe possibile recuperare il concetto (tipico dei politeismi, greco-romano e nordico, ad esempio) di un destino impersonale (il Fato) a cui gli dei stessi sarebbero sottoposti: Dio infatti è infinito. E perciò niente Gli può essere imposto. Certo, niente di esterno, ma vi è una oggettività a cui Dio stesso, per esprimerci in termini antropomorficamente imperfetti, non può sottrarsi. Ma solo perché essa coincide con la Sua natura, se così possiamo dire. E in questa oggettività c'è il rispetto della libertà creata. Che Egli non può/vuole forzare. E che può chiudersi fino all'ultimo alla Sua iniziativa benefica.

Rimane comunque un mistero. Su cui il Magistero della Chiesa forse tornerà in futuro. In iogni caso Dio vuole solo il bene. E che permette il male solo per il rispetto che ha della libertà creata. C'è anche da considerare che la scelta (della libertà umana, pro o contro il Creatore) può essere modificata finché siamo nel tempo, in cui c'è successione di istanti, e un istante dopo si può fare diversamente da un istante prima. Ma una volta che non saremo più nel tempo, si potrà ancora cambiare scelta? Potrà Dio, una volta che i “cattivi” avranno scontato la pena finita delle loro colpe finite, e la loro natura sarà stata purificata e “raddrizzata”, potrà Dio tornare a chiedere: «bene, adesso che cosa volete fare? Vi riconciliate con Me o perseverate per l'eternità nella ribellione?» Uno scenario del genere suona oggettivamente grottesco. Eppure è quanto dovrebbe accadere, perché quello che noi possiamo capire è che Dio non può salvare uno che non voglia essere salvato, non può costringere ad aderire a Lui chi non lo voglia. E i “dannati”, anche per l'insegnamento tradizionale della Chiesa, non sono quelli che hanno commesso 3578 peccati (ossia uno di più dei 3577 peccati “perdonabili”: Giussani diceva che la matematica non c'entra nel rapporto con Dio), ma sono coloro che fino all'ultimo hanno chiuso la loro volontà al Mistero, non Gli hanno chiesto, nemmeno un istante prima di morire, il perdono.

il punto concettualmente decisivo

agere sequitur esse
... esse sequitur agere

Il punto fondamentale è che non ci sono e non ci saranno premi o castighi estrinseci alla nostra natura, al nostro essere. E quindi “premio” e “castigo” non saranno qualcosa che non c'entra niente col nostro nucleo più intimo, e su come noi lo abbiamo “gestito”, abbiamo scelto di “gestirlo”: ne saranno piuttosto la espressione. Ne saranno in piena e totale continuità. Il “premio” non verrà dal di fuori di noi, e così pure il “castigo”: non saranno qualcosa che non c'entra con noi stessi e che Dio ci farà sopraggiungere, per un suo atto arbitrario, o comunque evitabile.

Tra esse e agere non c'è alcun possibile iato, non c'è separazione possibile: l'agere è l'espressione (più meno fedele) dell'esse; e nella misura in cui il nostro agere è stato conforme al nostro vero e più profondo esse, alla nostra più profonda natura, chiamata alla perfetta comunione, in Cristo, con Mistero trinitario, il nostro esse sarà pronto per tale partecipazione. Non nel senso che avremo diritto, un diritto esigibile dalla natura: partecipare alla vita divina rimane comunque un dono, ma un dono in perfetta continuità e in perfetta conformità con quanto già donatoci, grazie al nostro “sì”, in questa vita.

E analogamente nella misura in cui il nostro agere sarà stato in questa vita difforme dal nostro vero esse, tale difformità, tenacemente e volontariamente perseguita, avrà finito col deformare l'essere, rendendogli - per così dire - consona la separazione dal Mistero creatore.

📚 Bibliografia essenziale